agosto 12, 2018
“Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito, anche in assenza di un patto di riempimento tra le parti”
Si esamina il caso in cui Tizio consegnava a Caio - a titolo di garanzia verso terzi - n. 3 assegni dal medesimo sottoscritti e compilati esclusivamente negli importi, non riportanti né intestatari né tanto meno date.
Tra le parti non veniva stipulato alcun patto di riempimento.
Caio, a distanza di 9 anni dalla consegna dei titoli, senza averli mai posti all’incasso e conscio del fatto che Tizio avesse, nelle more, estinto il rapporto di conto corrente su cui erano stati tratti detti titoli, se li intestava abusivamente e li datava al fine di rendere credibile un’azione giudiziale tesa al recupero del proprio (solo apparente) credito nei confronti di Tizio, a cui veniva – infatti - notificato un decreto ingiuntivo per un ammontare pari alla somma degli importi dei 3 assegni.
Occorre, in primis, valutare se Tizio - per difendersi dalla spregiudicata condotta di Caio - possa avvalersi anche della tutela penale, in aggiunta all’ovvia facoltà di proporre ferma opposizione al decreto ingiuntivo.
La fattispecie fattuale pare astrattamente richiamare alcune tipologie di reati, quali i delitti p. e p. dagli artt. 486 (Falsità in foglio firmato in bianco. Atto privato), 491 (Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito) e 56, 640 (tentativo di truffa) c.p.
L’art. 486 c.p. stabilisce che “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l’obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, è punito, se del foglio faccia uso o lasci che altri ne facciano uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si considera firmato in bianco il foglio in cui il sottoscrittore abbia lasciato bianco un qualsiasi spazio destinato ad essere riempito”.
La condotta materiale di abusivo riempimento del titolo di credito, che rientrava a pieno titolo nell’ambito di applicazione della fattispecie sopra riportata (vedi Cass. pen., sez. V, 11.05.1981), ed in esso veniva debitamente sanzionata, non assume più – a tutt’oggi – alcuna rilevanza penale in virtù della “depenalizzazione” intervenuta a mezzo del D.Lvo 15.01.2016 n. 7, il quale ha abrogato gli artt. 485 (falso in scrittura privata) e 486 c.p., trasformandoli in meri illeciti civili.
Contestualmente, il legislatore della riforma introdotta con D.Lvo n. 7/2016 ha sostituito il vecchio testo dell’art. 491 c.p. con il seguente “Se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore e il fatto è commesso al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell’articolo 476, e nell’articolo 482. Nel caso di contraffazione o alterazione degli atti di cui al primo comma, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena stabilita nell’articolo 489 per l’uso di atto pubblico falso”.
La ratio della norma è quella di rafforzare il trattamento sanzionatorio previsto per la contraffazione o alterazione delle specifiche tipologie di scritture private indicate nell’articolo (testamento e titoli di credito trasmissibili per girata), in relazione alla maggiore forza probatoria che le caratterizza e dei pericoli di falsificazione che conseguono al loro particolare regime giuridico.
Tali scritture, proprio in virtù del loro sopra descritto status, sono le uniche ancora oggi tutelate dal legislatore penale a fronte di condotte di falsificazione (materiale) e alterazione, mantenendo per l’intero ordinamento una rilevanza espressamente superiore rispetto a qualunque altra forma di scrittura privata.
La condotta tipica di falsificazione e alterazione, intesa ai sensi dell’art. 491 c.p., è da intendersi come la contraffazione, anche tramite imitazione (es. di firma), di elementi essenziali e strutturali della scrittura, tali da indurre in errore il terzo.
Del tutto inidoneo a configurare la condotta del novellato art. 491 c.p. è il riempimento non autorizzato di un titolo di credito, che non è stato richiamato dal legislatore della riforma e, pertanto, ad oggi, risulta non penalmente rilevante.
Ai fini di una esauriente valutazione della vicenda, occorre considerare se la condotta tenuta da chi (Caio nella fattispecie), tramite abusivo riempimento, si intesta degli assegni ai fini di agire giudizialmente per il recupero del credito, possa ritenersi sussumibile alla fattispecie di cui agli art. 56, 640 c.p.
Il delitto di truffa è ricompreso, in dottrina, tra i reati contro il patrimonio a cooperazione artificiosa della vittima, in quanto quest’ultima riveste una funzione strutturale in una fase “intermedia” della sequenza criminosa.
Pertanto, ai fini della configurazione di tale reato, è imprescindibile che l’atto di disposizione patrimoniale venga posto in essere volontariamente dalla vittima, la quale, indotta in errore mediante artifizi o raggiri dal soggetto agente, si crei una falsa rappresentazione della realtà.
Nella fattispecie in analisi, per contro, la vittima (ossia Tizio) è perfettamente a conoscenza del tentativo meschino posto in essere da Caio al fine di ottenere l’ingiusto profitto, non sussistendo – pertanto – alcuna induzione in errore del soggetto passivo.
Inoltre, l’atto di disposizione patrimoniale non verrebbe effettuato da Tizio in maniera volontaria in qualità di soggetto ingannato, ma sarebbe imposto giudizialmente da un terzo soggetto (il giudice, appunto) sulla base di titoli di credito compilati illegittimamente, esulando – in tal modo – dalla condotta tipica del delitto ex art. 640 c.p.
Viene, a questo riguardo, in rilievo la tematica relativa alla cosiddetta truffa processuale.
In proposito la Cassazione ebbe ad affermare che la truffa processuale (che consiste nel fatto di chi, in un giudizio civile, con artifici o raggiri, inducendo in errore il giudice, ottenga, o cerchi di ottenere, una decisione favorevole, e quindi un ingiusto profitto in danno della controparte) non integra gli estremi del delitto di truffa.
Si è ritenuto al riguardo che se è vero che il delitto di truffa è ravvisabile anche quando il soggetto raggirato e persona diversa dal danneggiato, occorre tuttavia, ai fini della esistenza del delitto, un atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto che viene ingannato; e tale atto non sussiste nella ipotesi della truffa processuale, perché il giudice non esercita un potere di disposizione riguardo al patrimonio delle parti, ma un potere giurisdizionale eminentemente pubblicistico (Cass. II, n. 6757/1976). Il principio è stato ribadito in modo costante nel senso che, in tema di truffa, pur non esigendosi l'identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell'induzione in errore, va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una testimonianza falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all'imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, costituendo esplicazione del potere giurisdizionale, di natura meramente pubblicistica, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti (Cass. II, n. 29929/2007).
Concludendo, alla luce di quanto sopra argomentato, è lecito sostenere che condotte analoghe a quella posta in essere da Caio non trovino più, successivamente al D.Lvo n. 7/2016, una tutela a livello di extrema ratio penale, ma debbano essere discusse esclusivamente in sede civile.
Avv. Francesco Cavazzuti
“Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito, anche in assenza di un patto di riempimento tra le parti” Si esamina...
Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito

Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito
Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito
agosto 12, 2018
“Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito, anche in assenza di un patto di riempimento tra le parti”
Si esamina il caso in cui Tizio consegnava a Caio - a titolo di garanzia verso terzi - n. 3 assegni dal medesimo sottoscritti e compilati esclusivamente negli importi, non riportanti né intestatari né tanto meno date.
Tra le parti non veniva stipulato alcun patto di riempimento.
Caio, a distanza di 9 anni dalla consegna dei titoli, senza averli mai posti all’incasso e conscio del fatto che Tizio avesse, nelle more, estinto il rapporto di conto corrente su cui erano stati tratti detti titoli, se li intestava abusivamente e li datava al fine di rendere credibile un’azione giudiziale tesa al recupero del proprio (solo apparente) credito nei confronti di Tizio, a cui veniva – infatti - notificato un decreto ingiuntivo per un ammontare pari alla somma degli importi dei 3 assegni.
Occorre, in primis, valutare se Tizio - per difendersi dalla spregiudicata condotta di Caio - possa avvalersi anche della tutela penale, in aggiunta all’ovvia facoltà di proporre ferma opposizione al decreto ingiuntivo.
La fattispecie fattuale pare astrattamente richiamare alcune tipologie di reati, quali i delitti p. e p. dagli artt. 486 (Falsità in foglio firmato in bianco. Atto privato), 491 (Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito) e 56, 640 (tentativo di truffa) c.p.
L’art. 486 c.p. stabilisce che “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l’obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, è punito, se del foglio faccia uso o lasci che altri ne facciano uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si considera firmato in bianco il foglio in cui il sottoscrittore abbia lasciato bianco un qualsiasi spazio destinato ad essere riempito”.
La condotta materiale di abusivo riempimento del titolo di credito, che rientrava a pieno titolo nell’ambito di applicazione della fattispecie sopra riportata (vedi Cass. pen., sez. V, 11.05.1981), ed in esso veniva debitamente sanzionata, non assume più – a tutt’oggi – alcuna rilevanza penale in virtù della “depenalizzazione” intervenuta a mezzo del D.Lvo 15.01.2016 n. 7, il quale ha abrogato gli artt. 485 (falso in scrittura privata) e 486 c.p., trasformandoli in meri illeciti civili.
Contestualmente, il legislatore della riforma introdotta con D.Lvo n. 7/2016 ha sostituito il vecchio testo dell’art. 491 c.p. con il seguente “Se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore e il fatto è commesso al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell’articolo 476, e nell’articolo 482. Nel caso di contraffazione o alterazione degli atti di cui al primo comma, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena stabilita nell’articolo 489 per l’uso di atto pubblico falso”.
La ratio della norma è quella di rafforzare il trattamento sanzionatorio previsto per la contraffazione o alterazione delle specifiche tipologie di scritture private indicate nell’articolo (testamento e titoli di credito trasmissibili per girata), in relazione alla maggiore forza probatoria che le caratterizza e dei pericoli di falsificazione che conseguono al loro particolare regime giuridico.
Tali scritture, proprio in virtù del loro sopra descritto status, sono le uniche ancora oggi tutelate dal legislatore penale a fronte di condotte di falsificazione (materiale) e alterazione, mantenendo per l’intero ordinamento una rilevanza espressamente superiore rispetto a qualunque altra forma di scrittura privata.
La condotta tipica di falsificazione e alterazione, intesa ai sensi dell’art. 491 c.p., è da intendersi come la contraffazione, anche tramite imitazione (es. di firma), di elementi essenziali e strutturali della scrittura, tali da indurre in errore il terzo.
Del tutto inidoneo a configurare la condotta del novellato art. 491 c.p. è il riempimento non autorizzato di un titolo di credito, che non è stato richiamato dal legislatore della riforma e, pertanto, ad oggi, risulta non penalmente rilevante.
Ai fini di una esauriente valutazione della vicenda, occorre considerare se la condotta tenuta da chi (Caio nella fattispecie), tramite abusivo riempimento, si intesta degli assegni ai fini di agire giudizialmente per il recupero del credito, possa ritenersi sussumibile alla fattispecie di cui agli art. 56, 640 c.p.
Il delitto di truffa è ricompreso, in dottrina, tra i reati contro il patrimonio a cooperazione artificiosa della vittima, in quanto quest’ultima riveste una funzione strutturale in una fase “intermedia” della sequenza criminosa.
Pertanto, ai fini della configurazione di tale reato, è imprescindibile che l’atto di disposizione patrimoniale venga posto in essere volontariamente dalla vittima, la quale, indotta in errore mediante artifizi o raggiri dal soggetto agente, si crei una falsa rappresentazione della realtà.
Nella fattispecie in analisi, per contro, la vittima (ossia Tizio) è perfettamente a conoscenza del tentativo meschino posto in essere da Caio al fine di ottenere l’ingiusto profitto, non sussistendo – pertanto – alcuna induzione in errore del soggetto passivo.
Inoltre, l’atto di disposizione patrimoniale non verrebbe effettuato da Tizio in maniera volontaria in qualità di soggetto ingannato, ma sarebbe imposto giudizialmente da un terzo soggetto (il giudice, appunto) sulla base di titoli di credito compilati illegittimamente, esulando – in tal modo – dalla condotta tipica del delitto ex art. 640 c.p.
Viene, a questo riguardo, in rilievo la tematica relativa alla cosiddetta truffa processuale.
In proposito la Cassazione ebbe ad affermare che la truffa processuale (che consiste nel fatto di chi, in un giudizio civile, con artifici o raggiri, inducendo in errore il giudice, ottenga, o cerchi di ottenere, una decisione favorevole, e quindi un ingiusto profitto in danno della controparte) non integra gli estremi del delitto di truffa.
Si è ritenuto al riguardo che se è vero che il delitto di truffa è ravvisabile anche quando il soggetto raggirato e persona diversa dal danneggiato, occorre tuttavia, ai fini della esistenza del delitto, un atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto che viene ingannato; e tale atto non sussiste nella ipotesi della truffa processuale, perché il giudice non esercita un potere di disposizione riguardo al patrimonio delle parti, ma un potere giurisdizionale eminentemente pubblicistico (Cass. II, n. 6757/1976). Il principio è stato ribadito in modo costante nel senso che, in tema di truffa, pur non esigendosi l'identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell'induzione in errore, va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una testimonianza falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all'imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, costituendo esplicazione del potere giurisdizionale, di natura meramente pubblicistica, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti (Cass. II, n. 29929/2007).
Concludendo, alla luce di quanto sopra argomentato, è lecito sostenere che condotte analoghe a quella posta in essere da Caio non trovino più, successivamente al D.Lvo n. 7/2016, una tutela a livello di extrema ratio penale, ma debbano essere discusse esclusivamente in sede civile.
Avv. Francesco Cavazzuti
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