Il nostro legislatore nel 2011 ha apportato all'istituto dell'assegno una rilevante modifica. Al fine di velocizzare i tempi di...

Dematerializzazione degli assegni: come esercitare i diritti basati sul titolo? Dematerializzazione degli assegni: come esercitare i diritti basati sul titolo?



Il nostro legislatore nel 2011 ha apportato all'istituto dell'assegno una rilevante modifica.
Al fine di velocizzare i tempi di accredito della valuta sul conto corrente, ha dato avvio alla procedura telematica di pagamento per gli assegni bancari, stabilendo, come vedremo, la distruzione (dematerializzazione) del titolo cartaceo.
I tempi con cui si sta giungendo a detta innovazione non sono stati brevi, ma i tempi di accredito delle somme in conto corrente risultano velocizzati con risultato utile per gli utenti quando l'incasso va a buon fine.
I problemi nascono o possono nascere in caso di mancato pagamento del titolo.
Per meglio comprendere quando si vuole evidenziare appare necessaria la seguente premessa con richiamo dei riferimenti normativi.
Il decreto legge 70/2011 all'art. 8 comma 7, stabilisce, nella parte iniziale, che:
"Per allineare allo standard europeo l'esercizio del credito sono apportate le seguenti modifiche:
a) l'articolo 20, comma 1, del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, e' sostituito dal seguente:
"1. Il prestatore di servizi di pagamento del pagatore assicura che dal momento della ricezione dell'ordine l'importo dell'operazione venga accreditato sul conto del prestatore di servizi di pagamento del beneficiario entro la fine della giornata operativa successiva.
Fino al 1° gennaio 2012 le parti di un contratto per la prestazione di servizi di pagamento possono concordare di applicare un termine di esecuzione diverso da quello previsto dal primo periodo ovvero di fare riferimento al termine indicato dalle regole stabilite per gli strumenti di pagamento dell'area unica dei pagamenti in euro che non può comunque essere superiore a tre giornate operative. Per le operazioni di pagamento disposte su supporto cartaceo, i termini massimi di cui ai periodi precedenti possono essere prorogati di una ulteriore giornata operativa.";"
La norma stabilisce quindi tempi più veloci di accredito degli importi, stabilendo i termini relativi e prolungandoli di un giorno qualora le operazioni di pagamento siano disposte in virtù di supporto cartaceo.
Nella parte successiva la stessa norma prevede la possibilità per gli istituti bancari di gestire le richieste di pagamento degli assegni (bancari, postali, circolari, vaglia postali, titoli speciali della Banca di Italia) mediante procedura telematica, stabilendo che:
"b) al Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, sono apportate le seguenti modifiche:
1) all'articolo 31 é aggiunto, in fine, il seguente comma: "L'assegno bancario può essere presentato al pagamento, anche nel caso previsto dall'articolo 34, in forma sia cartacea sia elettronica.";
2) il numero 3) del primo comma dell'articolo 45 é sostituito dal seguente: "3) con dichiarazione della Banca d'Italia, quale gestore delle stanze di compensazione o delle attività di compensazione e di regolamento delle operazioni relative agli assegni, attestante che l'assegno bancario, presentato in forma elettronica, non é stato pagato.";
3) all'articolo 61 é aggiunto, in fine, il seguente comma: "Il protesto o la constatazione equivalente possono essere effettuati in forma elettronica sull'assegno presentato al pagamento in forma elettronica.";
4) all'articolo 86, primo comma, é aggiunto, in fine, il seguente periodo: "All'assegno circolare si applica altresì la disposizione dell'assegno bancario di cui all'articolo 31, terzo comma.";"
E fin qui detta normativa non sembrava rivoluzionare la materia.
L'utilizzo di procedura telematica era già prevista fin dal lontano 1993, con limiti di importo (check truncation) che prevedeva però la conservazione dell'originale cartaceo del titolo che, in caso di mancato pagamento, il negoziatore restituiva al portatore che lo aveva posto all'incasso che poteva così esercitare i propri diritti di credito anche mediante l'azione basata sul titolo.
La normativa del 2011 prosegue però stabilendo anche:
"c) all'articolo 66 del regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, é aggiunto, in fine, il seguente comma: "Le copie informatiche di assegni cartacei sostituiscono ad ogni effetto di legge gli originali da cui sono tratte se la loro conformità all'originale e' assicurata dalla banca negoziatrice mediante l'utilizzo della propria firma digitale e nel rispetto delle disposizioni attuative e delle regole tecniche dettate ai sensi dell'articolo 8, comma 7, lettere d) ed e), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70;"
Tale aggiunta del secondo comma all'art. 66 legge assegno indica l'intento di muoversi non solo nella direzione della totale eliminazione della trasmissione del titolo originale cartaceo e sostituzione di esso con la copia informatica, ma anche quello della successiva eliminazione del titolo cartaceo.
Il decreto legge demandava poi a un decreto ministeriale le modalità attuative e a un regolamento della Banca di Italia le regole tecniche per l'applicazione delle disposizioni, da emettersi nei 24 mesi successivi:
"d) con regolamento emanato, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro dell'Economia e delle Finanze, sentita la Banca d'Italia, disciplina le modalità attuative delle disposizioni di cui alle precedenti lettere b) e c);
e) la Banca d'Italia, entro 12 mesi dall'emanazione del regolamento di cui alla lettera d), disciplina con proprio regolamento le regole tecniche per l'applicazione delle disposizioni di cui alle precedenti lettere e del regolamento ministeriale;"
Precisando infine che:
"f) le modifiche apportate al regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, dalla lettera b) del presente comma entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del regolamento della Banca d'Italia di cui alla lettera e);
f-bis) dopo il comma 3 dell'articolo 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 386, e successive modificazioni, e' inserito il seguente: "3-bis. L'autenticazione di cui al comma 3 del presente articolo e' effettuata ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. L'autenticazione deve essere rilasciata gratuitamente, tranne i previsti diritti, nella stessa data della richiesta, salvo motivato diniego"
I tempi si sono poi allungati. Il parere positivo della Corte dei Conti giungeva solo nel 2013. Il decreto attuativo del MEF nel 2014 (D.M. 205/2014 del 03/10/2014 pubblicato in G.U. il 06/03/2015). Il regolamento della Banca d'Italia nel 2016 (Regolamento 98975 del 22/03/2016 pubblicato in G.U. il 30/04/2016).
Il decreto attuativo del MEF stabilisce all'art. 6 comma 5 che "Fatti salvi i casi eventualmente stabiliti dal Regolamento della Banca d'Italia, gli assegni cartacei sono conservati per un periodo di sei mesi dallo spirare del termine di presentazione".
I titoli cartacei andranno poi distrutti.
Ci si chiede: Sempre? Anche in caso di mancato pagamento?
Ed in tal caso, il portatore come può esercitare i propri diritti basati sul titolo?
Il Regolamento della Banca Italia all'art. 6 stabilisce che:
"1 L'assegno cartaceo é conservato dal negoziatore per sei mesi dallo spirare del termine di presentazione. Durante tale periodo l'assegno cartaceo viene esibito solo su richiesta dell'Autorità giudiziaria. Ogni altra richiesta di esibizione o di copia viene evasa sulla base dell'immagine dell'assegno.
2. Decorso il periodo di conservazione di cui al comma precedente l'assegno cartaceo e' distrutto, fatto salvo il caso in cui siano pendenti sul titolo richieste di sequestro o ordini di esibizione dell'Autorità giudiziaria ovvero sia stata disconosciuta la firma dell'assegno o il negoziatore abbia evidenza di altre esigenze di difesa."
L'art. 15 del predetto Regolamento stabilisce poi che:
"1. Il negoziatore rilascia al portatore del titolo una sola volta:
a) una copia analogica dell'immagine dell'assegno con le informazioni relative al mancato pagamento registrate ai sensi dell'art. 5, comma 1 del Regolamento, su cui e' apposta una dichiarazione del negoziatore attestante la sua conformità all'originale informatico conservato nei propri archivi;
b) una copia analogica del protesto o della constatazione equivalente ovvero del documento attestante la non protestabilità del titolo, su cui e' apposta una dichiarazione del negoziatore attestante la sua conformità all'originale informatico conservato nei propri archivi.
2. A richiesta degli aventi diritto, il negoziatore rilascia copie semplici, analogiche o informatiche, della sola immagine dell'assegno, dell'immagine dell'assegno con le informazioni relative al mancato pagamento registrate ai sensi dell'art. 5, comma 1 del Regolamento, del protesto o della constatazione equivalente ovvero del documento attestante la non protestabilità del titolo."
L'originale cartaceo viene quindi distrutto anche in caso di mancato pagamento e pertanto non può essere restituito al portatore.
L'originale cartaceo viene sostituito da una copia informatica del titolo che viene conservata dall'istituto bancario presso cui è negoziato l'assegno.
Il sistema non prevede che detta copia informatica dell'assegno venga consegnata al portatore del titolo.
Con il sistema attuale, peraltro, il portatore del titolo non potrebbe utilizzare tale copia informatica per l'esercizio dei propri diritti.
A colui che ha presentato all'incasso il titolo risultato insoluto, viene rilasciata (UNA SOLA VOLTA) dalla banca presso cui è stato negoziato il titolo, una dichiarazione che deve essere redatta secondo i precetti stabiliti dall'art. 15 del regolamento sopra riportato.
In caso di mancato pagamento dell'assegno, tale dichiarazione della banca può essere legittimamente utilizzata per esercitare i diritti nascenti dal titolo?
La risposta sembra dover essere necessariamente SI.
In caso contrario il legislatore del 2011 avrebbe avuto intenzione di rivoluzionato la materia eliminando le azioni basate sul titolo.
La prassi ha però insegnato che:
1) le dichiarazioni di cui all'art. 15 del Regolamento sono spesso redatte in forma errata o comunque non puntuale.
Pur essendo vero che la norma non specifica un modello esatto, ho potuto personalmente constatare:
- dichiarazioni che contengono riferimenti normativi errati;
- dichiarazioni che non contengono l'indicazione degli elementi dell'assegno e/o del relativo protesto o atto equivalente, bensì fanno riferimento ad un assegno (generico) con mera indicazione della sola data di insoluto e dell'importo del titolo e nulla più, ritenendo, reputo io erroneamente, di superare il problema allegando copia dell'assegno su foglio a parte.
Vero che la norma non specifica un modello, ma risulta abbastanza chiara nello stabilire che le dichiarazioni sono apposte SULLA copia dell'assegno e/o SULLA copia del protesto o atto equivalente (commi 1 e 2 art. 15 regolamento).
Dichiarazioni redatte male legittimeranno l'Ufficiale Giudiziario al relativo rifiuto, sia in sede di notifica del precetto o peggio successivamente in sede di richiesta di esecuzione.
Non sono solo le dichiarazioni formulate male a poter creare problemi.
Gli Ufficiali Giudiziari finora contattati non hanno assunto un atteggiamento univoco in relazione all'innovazione di cui si parla.
Mi è capitato infatti di sentir dire agli Ufficiali Giudiziari, a cui ricordiamo è necessario rivolgersi per la richiesta di notifica del precetto e poi per la richiesta di esecuzione, di ritenere di non poter procedere a pignoramento richiesto sulla base delle dichiarazioni sostitutive.
Non posso però di aver ancora avuto risposte definitive.
Visto l'art. 66 comma 2 legge assegno, ritengo che l'Ufficiale Giudiziario non possa negare la dichiarazione di conformità nel precetto e la successiva esecuzione se richiesta, esclusivamente però nei casi in cui la dichiarazione di cui all'art. 15 del Regolamento della Banca di Italia sia redatta dalla banca negoziatrice in modo esatto e puntuale.
La dichiarazione della banca ex art. 15 viene ad assumere la valenza del titolo esecutivo distrutto (almeno questo sembrava l'intento del legislatore).
Rammentiamo, infatti, che:
- è una dichiarazione che può essere rilasciata una sola volta (sostituisce così l'originale cartaceo del titolo che viene distrutto);
- deve (dovrebbe) essere redatta su copia del titolo e del relativo protesto o atto equivalente e quindi contenere tutti gli elementi del titolo;
- deve contenere la specifica che la copia del titolo e del relativo protesto o atto equivalente è conforme alle relative copie informatiche conservate dalla banca dichiarante che ex art. 66 legge assegno sostituisce a tutti gli effetti il titolo cartaceo.

“Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito, anche in assenza di un patto di riempimento tra le parti” Si esamina...

Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito


“Non costituisce reato il riempimento abusivo di titoli di credito, anche in assenza di un patto di riempimento tra le parti”
Si esamina il caso in cui Tizio consegnava a Caio - a titolo di garanzia verso terzi - n. 3 assegni dal medesimo sottoscritti e compilati esclusivamente negli importi, non riportanti né intestatari né tanto meno date.
Tra le parti non veniva stipulato alcun patto di riempimento.
Caio, a distanza di 9 anni dalla consegna dei titoli, senza averli mai posti all’incasso e conscio del fatto che Tizio avesse, nelle more, estinto il rapporto di conto corrente su cui erano stati tratti detti titoli, se li intestava abusivamente e li datava al fine di rendere credibile un’azione giudiziale tesa al recupero del proprio (solo apparente) credito nei confronti di Tizio, a cui veniva – infatti - notificato un decreto ingiuntivo per un ammontare pari alla somma degli importi dei 3 assegni.
Occorre, in primis, valutare se Tizio - per difendersi dalla spregiudicata condotta di Caio - possa avvalersi anche della tutela penale, in aggiunta all’ovvia facoltà di proporre ferma opposizione al decreto ingiuntivo.
La fattispecie fattuale pare astrattamente richiamare alcune tipologie di reati, quali i delitti p. e p. dagli artt. 486 (Falsità in foglio firmato in bianco. Atto privato), 491 (Falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito) e 56, 640 (tentativo di truffa) c.p.
L’art. 486 c.p. stabilisce che “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, abusando di un foglio firmato in bianco, del quale abbia il possesso per un titolo che importi l’obbligo o la facoltà di riempirlo, vi scrive o fa scrivere un atto privato produttivo di effetti giuridici, diverso da quello a cui era obbligato o autorizzato, è punito, se del foglio faccia uso o lasci che altri ne facciano uso, con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Si considera firmato in bianco il foglio in cui il sottoscrittore abbia lasciato bianco un qualsiasi spazio destinato ad essere riempito”.
La condotta materiale di abusivo riempimento del titolo di credito, che rientrava a pieno titolo nell’ambito di applicazione della fattispecie sopra riportata (vedi Cass. pen., sez. V, 11.05.1981), ed in esso veniva debitamente sanzionata, non assume più – a tutt’oggi – alcuna rilevanza penale in virtù della “depenalizzazione” intervenuta a mezzo del D.Lvo 15.01.2016 n. 7, il quale ha abrogato gli artt. 485 (falso in scrittura privata) e 486 c.p., trasformandoli in meri illeciti civili.
Contestualmente, il legislatore della riforma introdotta con D.Lvo n. 7/2016 ha sostituito il vecchio testo dell’art. 491 c.p. con il seguente “Se alcuna delle falsità prevedute dagli articoli precedenti riguarda un testamento olografo, ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore e il fatto è commesso al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, si applicano le pene rispettivamente stabilite nella prima parte dell’articolo 476, e nell’articolo 482. Nel caso di contraffazione o alterazione degli atti di cui al primo comma, chi ne fa uso, senza essere concorso nella falsità, soggiace alla pena stabilita nell’articolo 489 per l’uso di atto pubblico falso”.
La ratio della norma è quella di rafforzare il trattamento sanzionatorio previsto per la contraffazione o alterazione delle specifiche tipologie di scritture private indicate nell’articolo (testamento e titoli di credito trasmissibili per girata), in relazione alla maggiore forza probatoria che le caratterizza e dei pericoli di falsificazione che conseguono al loro particolare regime giuridico.
Tali scritture, proprio in virtù del loro sopra descritto status, sono le uniche ancora oggi tutelate dal legislatore penale a fronte di condotte di falsificazione (materiale) e alterazione, mantenendo per l’intero ordinamento una rilevanza espressamente superiore rispetto a qualunque altra forma di scrittura privata.
La condotta tipica di falsificazione e alterazione, intesa ai sensi dell’art. 491 c.p., è da intendersi come la contraffazione, anche tramite imitazione (es. di firma), di elementi essenziali e strutturali della scrittura, tali da indurre in errore il terzo.
Del tutto inidoneo a configurare la condotta del novellato art. 491 c.p. è il riempimento non autorizzato di un titolo di credito, che non è stato richiamato dal legislatore della riforma e, pertanto, ad oggi, risulta non penalmente rilevante.
Ai fini di una esauriente valutazione della vicenda, occorre considerare se la condotta tenuta da chi (Caio nella fattispecie), tramite abusivo riempimento, si intesta degli assegni ai fini di agire giudizialmente per il recupero del credito, possa ritenersi sussumibile alla fattispecie di cui agli art. 56, 640 c.p.
Il delitto di truffa è ricompreso, in dottrina, tra i reati contro il patrimonio a cooperazione artificiosa della vittima, in quanto quest’ultima riveste una funzione strutturale in una fase “intermedia” della sequenza criminosa.
Pertanto, ai fini della configurazione di tale reato, è imprescindibile che l’atto di disposizione patrimoniale venga posto in essere volontariamente dalla vittima, la quale, indotta in errore mediante artifizi o raggiri dal soggetto agente, si crei una falsa rappresentazione della realtà.
Nella fattispecie in analisi, per contro, la vittima (ossia Tizio) è perfettamente a conoscenza del tentativo meschino posto in essere da Caio al fine di ottenere l’ingiusto profitto, non sussistendo – pertanto – alcuna induzione in errore del soggetto passivo.
Inoltre, l’atto di disposizione patrimoniale non verrebbe effettuato da Tizio in maniera volontaria in qualità di soggetto ingannato, ma sarebbe imposto giudizialmente da un terzo soggetto (il giudice, appunto) sulla base di titoli di credito compilati illegittimamente, esulando – in tal modo – dalla condotta tipica del delitto ex art. 640 c.p.
Viene, a questo riguardo, in rilievo la tematica relativa alla cosiddetta truffa processuale.
In proposito la Cassazione ebbe ad affermare che la truffa processuale (che consiste nel fatto di chi, in un giudizio civile, con artifici o raggiri, inducendo in errore il giudice, ottenga, o cerchi di ottenere, una decisione favorevole, e quindi un ingiusto profitto in danno della controparte) non integra gli estremi del delitto di truffa.
Si è ritenuto al riguardo che se è vero che il delitto di truffa è ravvisabile anche quando il soggetto raggirato e persona diversa dal danneggiato, occorre tuttavia, ai fini della esistenza del delitto, un atto di disposizione patrimoniale da parte del soggetto che viene ingannato; e tale atto non sussiste nella ipotesi della truffa processuale, perché il giudice non esercita un potere di disposizione riguardo al patrimonio delle parti, ma un potere giurisdizionale eminentemente pubblicistico (Cass. II, n. 6757/1976). Il principio è stato ribadito in modo costante nel senso che, in tema di truffa, pur non esigendosi l'identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell'induzione in errore, va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una testimonianza falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all'imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, costituendo esplicazione del potere giurisdizionale, di natura meramente pubblicistica, finalizzato all'attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti (Cass. II, n. 29929/2007).
Concludendo, alla luce di quanto sopra argomentato, è lecito sostenere che condotte analoghe a quella posta in essere da Caio non trovino più, successivamente al D.Lvo n. 7/2016, una tutela a livello di extrema ratio penale, ma debbano essere discusse esclusivamente in sede civile.

Avv. Francesco Cavazzuti

Cass., SSUU, sent. 21 dicembre 2017 (dep. 16 marzo 2018), n. 12213    Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite sono intervenute p...

Le Sezioni Unite sul rapporto tra costituzione di parte civile e sostituto processuale Le Sezioni Unite sul rapporto tra costituzione di parte civile e sostituto processuale


Cass., SSUU, sent. 21 dicembre 2017 (dep. 16 marzo 2018), n. 12213  
Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite sono intervenute per chiarire, dopo anni di incertezza applicativa, una delicata problematica sul rapporto tra costituzione di parte civile ex art. 76 c.p.p. e sostituzione processuale di cui all’art. 102 c.p.p.
In particolare, il massimo Consesso si è pronunciato sull’ammissibilità della costituzione di parte civile effettuata dal sostituto processuale del difensore, «al quale soltanto la persona danneggiata abbia rilasciato la procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale».
Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva ritenuto legittima la costituzione di parte civile avvenuta in udienza, nonostante questa fosse stata depositata dal sostituto processuale e non dal difensore, a cui era stata conferita la procura speciale ex artt. 76 e 122 c.p.p. I Giudici erano pervenuti a tale conclusione per due motivi: da una parte, poiché tale facoltà era stata espressamente concessa nella procura speciale, dall’altra, in quanto la presenza delle persone danneggiate in udienza avrebbe sanato il difetto di legittimazione.
La difesa degli imputati aveva allora proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione degli artt. 78, 102 e 122 c.p.p., poiché – aveva argomentato – il sostituto non potrebbe mai costituirsi parte civile al posto del difensore.
La soluzione alla problematica non era affatto pacifica nella giurisprudenza, motivo per cui la sesta sezione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite.

In effetti, sul tema è stato ravvisato un contrasto giurisprudenziale inconciliabile: a detta del massimo Collegio, vi sarebbero stati tre indirizzi, che si sarebbero caratterizzati per una divergente interpretazione sulla latitudine da attribuire all’art. 102 c.p.p., e, in particolare, sul potere di sostituzione del difensore ivi previsto.
Il primo orientamento era quello più restrittivo, in quanto escludeva in generale – salvo un parziale temperamento – la legittimità del sostituto a costituirsi parte civile.
Si sosteneva, in particolare, che il conferimento al difensore, ex artt. 76 e 122 c.p.p., della legitimatio ad causam, ossia del diritto sostanziale ad agire in giudizio per ottenere il risarcimento, sarebbe istituto ben distinto dall’attribuzione della legitimatio ad processum, vale a dire della rappresentanza processuale, di cui all’art. 100 c.p.p.: solo in quest’ultimo caso, infatti, «l'art. 102 cod. proc. pen. prevede la possibilità della nomina di un sostituto che eserciti i diritti e assuma i doveri del difensore». 
Alla luce di queste considerazioni, non assumeva nemmeno rilievo l’ipotesi in cui la facoltà di nominare un sostituto per depositare la dichiarazione fosse stata prevista nella stessa procura speciale ex artt. 76 e 122 c.p.p.
L’unico caso – si affermava – per poter ritenere ammissibile la costituzione di parte civile era dato dalla presenza in udienza della persona danneggiata dal reato, la quale sanava, in questo modo, il difetto di legittimazione del sostituto processuale, in quanto «consent[iva] di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente».
Il secondo indirizzo perveniva a una conclusione opposta, ammettendo sempre la possibilità per il sostituto processuale, nominato dal difensore ex art. 102 c.p.p., di costituirsi parte civile, e, perciò, anche nell’ipotesi in cui questa facoltà non fosse stata prevista nella procura speciale ai sensi degli artt. 76 e 122 c.p.p.. Tale tesi si fondava sulla considerazione che il potere del difensore di delegare un sostituto per il deposito dell’atto deriverebbe direttamente dalla legge, ossia dall’art. 102 c.p.p.
L’ultimo orientamento, infine, si poneva a metà strada tra quelli appena analizzati.
Questo infatti ribadiva la teoria dell’indirizzo più restrittivo, secondo cui l’attribuzione della legitimatio ad causam è da tenere distinta dal rilascio del mandato alle liti, e che solo per quest’ultimo opererebbe l’art. 102 c.p.p. Tuttavia, temperava siffatto rigore, valorizzando la manifestazione di volontà della persona danneggiata: si riteneva, infatti, legittima la costituzione di parte civile del sostituto nell’ipotesi in cui la procura speciale rilasciata al difensore avesse consentito espressamente a quest’ultimo di nominare sostituti processuali per il deposito dell’atto in udienza.
In tal caso – si argomentava – non si rientrerebbe nell’art. 102 c.p.p., ma il sostituto riceverebbe direttamente la legitimatio ad causam dal danneggiato, al pari del difensore. 

Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite hanno armonizzato la tesi di quest’ultimo indirizzo con quella del primo, ritenendo, in linea generale, illegittima la costituzione di parte civile del sostituto processuale del difensore, a meno che siffatta facoltà sia stata prevista nella procura speciale oppure che la persona danneggiata sia presente in udienza.

In particolare, i Giudici, dopo aver rimarcato l’importanza di tenere distinta la legitimatio ad causam dalla legitimatio ad processum, hanno osservato che, nel primo caso, la procura speciale attribuisce il potere di costituirsi in nome e per conto proprio; nella seconda ipotesi, invece, questa «conferisce il solo mandato processuale di rappresentanza in giudizio».
Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha quindi affermato che, qualora il danneggiato decida di costituirsi parte civile a mezzo di procuratore speciale, sono necessarie due diverse procure, una per la rappresentanza sostanziale, l’altra per quella processuale; queste ben potrebbero essere conferite al medesimo soggetto, e, in particolare, al difensore, che in tal modo cumulerebbe entrambe le rappresentanze.
Svolte queste premesse, le Sezioni Unite sono quindi passate ad analizzare nel merito la questione, confutando anzitutto la tesi del secondo indirizzo.
La Corte ha sostenuto che la disposizione dell’art. 102 c.p.p. sarebbe strettamente collegata alla rappresentanza tecnica, con la conseguenza che il sostituto potrebbe esercitare solo quei poteri a essa connessi, non quindi la costituzione di parte civile, attinente a una posizione giuridico-sostanziale, per la quale sarebbe sempre necessaria l’apposita procura ex artt. 76 e 122 c.p.p.
A parere del Collegio, non sarebbero peraltro condivisibili nemmeno le argomentazioni di una sentenza, che aveva affermato come occorra distinguere tra costituzione di parte civile e deposito della relativa dichiarazione. Così facendo – ha argomentato la Corte – si finirebbe per introdurre nell’ordinamento un’ulteriore modalità di costituzione di parte civile che si sostanzierebbe nella mera redazione dell’atto, fattispecie che non troverebbe alcun fondamento normativo. L’art. 78 c.p.p., infatti, sarebbe chiaro nell’individuare la costituzione di parte civile o nel deposito in cancelleria o, direttamente, nella presentazione in udienza.
A questo punto, il massimo Consesso ha, da un lato, avallato il concetto, «espresso nitidamente» dal primo indirizzo, in base al quale l’attribuzione della legitimatio ad processum non attribuirebbe al difensore il potere di nominare un sostituto ex art. 102 c.p.p. per costituirsi al suo posto; dall’altro, ha, pur tuttavia, ammesso che il danneggiato potrebbe sempre acconsentire a siffatta modalità nella procura speciale ex art. 76 c.p.p., rilasciata al difensore: in tal modo si verrebbe infatti «a configurare anche in capo ad altro soggetto, per espressa volontà del titolare del diritto, il potere di costituzione di parte civile».
In aggiunta, le Sezioni Unite, per evitare rischi di fraintendimento, hanno precisato che assumerebbe rilievo solo la procura speciale di cui all’artt. 76 e 122 c.p.p. e non anche quella ex art. 100 c.p.p.; più specificamente, l’eventuale potere di nominare un sostituto contenuto in quest’ultimo atto non sarebbe idoneo ad attribuire la facoltà di costituirsi parte civile al posto del difensore.
Da ultimo, la Suprema Corte ha fatto propria quell'impostazione che, in assenza di una procura speciale al difensore o al sostituto, riteneva comunque legittima una costituzione di parte civile, qualora il danneggiato fosse presente all'udienza, avendo considerato tale comportamento come un’ipotesi di costituzione avvenuta personalmente. Questo assunto - ha osservato il Collegio - sarebbe peraltro in linea con un indirizzo più generale della giurisprudenza che non attribuisce rilievo all'eventuale assenza di una procura speciale, nel caso in cui il difensore compia attività alla presenza dell’assistito.

Cass. sez. II pen, 15.12.2017, n. 832 (dep. 11.01.2018) La Suprema Corte, nella sopra citata pronuncia, ha statuito che «la riduzione ...

Giudizio abbreviato: la retroattività della riduzione di metà della pena Giudizio abbreviato: la retroattività della riduzione di metà della pena


Cass. sez. II pen, 15.12.2017, n. 832 (dep. 11.01.2018)

La Suprema Corte, nella sopra citata pronuncia, ha statuito che «la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito abbreviato incidendo sul trattamento sanzionatorio concreto, ha ricadute necessariamente sostanziali, la cui natura non muta, nonostante siano collegate non all'illecito penale in sé, ma ad un comportamento successivo, consistente nell'esercizio di una facoltà processuale. Pertanto, l’art. 442, secondo comma, c.p.p., come novellato dalla legge 103/2017, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo, se si procede per una contravvenzione, pur essendo disposizione processuale, comporta un trattamento sostanziale sanzionatorio più favorevole e si applica come stabilisce l’art. 2, quarto comma, c.p., anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile».
Quanto sopra è stato ribadito in merito al ricorso proposto contro la sentenza della Corte d’Appello di Ancona che confermava la condanna nei confronti del ricorrente per il reato di cui all’art. 187, commi 1 e 1-bis C.d.S. per aver provocato, nel 2012, un sinistro stradale, guidando in stato di alterazione psicofisica, dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti.
Tra i vari motivi del ricorso l’imputato deduceva la retroattività dell’art. 442, comma 3, c.p.p. nella nuova formulazione introdotta dalla riforma Orlando e quindi la necessità di una maggiore riduzione di pena in ragione della scelta del rito abbreviato.
Il Giudice di legittimità, accogliendo il motivo di ricorso, annullava senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alla misura della pena.
La regola della retroattività della legge più favorevole non si applica alla norme di carattere processuale, tuttavia la qualifica nel diritto interno del testo di legge interessato non può essere determinante.
In effetti, se è vero che gli articoli 438 e 441 - 443 del c.p.p. descrivono il campo di applicazione e le fasi processuali del giudizio abbreviato, rimane comunque il fatto che il paragrafo 2 dell’articolo 442 è interamente dedicato alla severità della pena da infliggere quando il processo si è svolto secondo questa procedura semplificata, pertanto deve concludersi che il trattamento sanzionatorio ha sempre ricadute sostanziali, anche quando venga ricollegato alla scelta del rito, ed è dunque soggetto alla disciplina dell’art. 2 c.p.

Non è più ammissibile, in nessun caso, Il ricorso per Cassazione sottoscritto personalmente dall'indagato od imputato . Cass., S.S....

Ricorso per Cassazione sottoscritto da indagato od imputato Ricorso per Cassazione sottoscritto da indagato od imputato


Non è più ammissibile, in nessun caso, Il ricorso per Cassazione sottoscritto personalmente dall'indagato od imputato.

Cass., S.S.U.U., 21 dicembre 2017, Pres. Canzio, Rel. De Amicis

In esito alla camera di consiglio del 21 dicembre 2017, le Sezioni Unite hanno affrontato la seguente questione:
«Se, a seguito delle modifiche apportate dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, agli artt. 571 e 613 cod. proc. pen., con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato di proporre personalmente ricorso per cassazione, permanga la sua legittimazione a proporre personalmente ricorso in materia di misure cautelari».
L’ordinanza che aveva rimesso la questione alle Sezioni unite, è della sez. V, 2 novembre 2017 - dep. 8 novembre 2017, n. 51068.
Secondo l'informazione provvisoria diffusa dalla Suprema Corte, al quesito si è data la seguente risposta negativa.
Il ricorso per cassazione avverso qualsiasi tipo di provvedimento non può essere personalmente proposto dalla parte ma deve essere personalmente sottoscritto, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di Cassazione.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno, pertanto, statuito l’interpretazione estensiva del combinato disposto tra i nuovi artt. 613 c.p.p. e 571 c.p.p., che esclude la possibilità di ricorso personale dell'imputato avverso le decisioni di merito, includendovi anche la preclusione all'impugnativa personale avverso le decisioni cautelari.
Si rimane in attesa del deposito delle motivazioni per una più approfondita esegesi delle stesse.

Per mera dimenticanza / errore / momentanea difficoltà avete emesso e consegnato un assegno bancario che presentato all'incasso è sta...

Sanatoria di assegno insoluto in prima presentazione Sanatoria di assegno insoluto in prima presentazione


Per mera dimenticanza / errore / momentanea difficoltà avete emesso e consegnato un assegno bancario che presentato all'incasso è stato rimandato indietro insoluto?
State incorrendo in un protesto con conseguente segnalazione CAI e quindi revoca degli affidamenti bancari e in tal caso vi verranno applicate le conseguenti sanzioni pecuniarie amministrative per emissione di assegni senza provvista.
È ancora possibile evitare il protesto e le relative sanzioni pecuniarie e accessorie.

Oppure avete ricevuto un assegno bancario che in prima presentazione è tornato insoluto?
Ricordate che il debitore può sanare la posizione (pagandovi).

L'art. 8 delle legge 386/1990 sotto rubrica "Pagamento dell'assegno emesso senza provvista dopo la scadenza del termine di presentazione" stabilisce che:
1. Nei casi previsti dall'articolo 2 (mancato pagamento dell’assegno per difetto di provvista), le sanzioni amministrative non si applicano se il traente, entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione del titolo, effettua il pagamento dell'assegno, degli interessi, della penale e delle eventuali spese per il protesto o per la constatazione equivalente.
2. Il pagamento può essere effettuato nelle mani del portatore del titolo o presso lo stabilimento trattario mediante deposito vincolato al portatore del titolo, ovvero presso il pubblico ufficiale che ha levato il protesto o ha effettuato la constatazione equivalente.
3. La prova dell'avvenuto pagamento deve essere fornita dal traente allo stabilimento trattario o, in caso di levata del protesto o di rilascio della constatazione equivalente, al pubblico ufficiale tenuto alla presentazione del rapporto mediante quietanza del portatore con firma autenticata ovvero, in caso di pagamento a mezzo di deposito vincolato, mediante attestazione della banca comprovante il versamento dell'importo dovuto.
3-bis. L'autenticazione di cui al comma 3 del presente articolo è effettuata ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. L'autenticazione deve essere rilasciata gratuitamente, tranne i previsti diritti, nella stessa data della richiesta, salvo motivato diniego.
4. Il procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative non può essere iniziato prima che sia decorso il termine per il pagamento indicato nel comma 1.

Detta norma stabilisce quindi espressamente l’obbligo di pagare, oltre l’importo facciale del titolo, anche una penale pari al 10% dell’importo facciale, le spese di protesto e gli interessi maturati.
Il pagamento deve essere eseguito entro 60 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione all’incasso del titolo, ciò al fine di evitare l’applicazione delle sanzioni amministrative tra cui quella accessoria della segnalazione CAI.


Tra le due modalità di pagamento (deposito vincolato o pagamento diretto al trattario) risulta più sicuro il deposito vincolato presso l'istituto bancario.

Eseguire bonifico dell'importo direttamente al portatore dell'assegno espone alla difficoltà di doversi poi far rilasciare la relativa liberatoria.

Il pagamento della penale è obbligatorio o se si può diversamente concordare con il portatore del titolo?

Con il deposito vincolato dovrà necessariamente essere versata anche la penale, le spese di protesto e gli interessi maturati (almeno in linea di principio). Eseguendo direttamente il pagamento a favore del portatore si avrà necessità di farsi rilasciare la liberatoria e volendo si potrebbe diversamente concordare con il creditore.
L'obbligo di pagamento della penale è stabilito però non solo nell’interesse del privato portatore del titolo (benché sia naturale che egli se ne possa avvalere e se ne avvalga), bensì anche nel superiore interesse di evitare che siano emessi assegni bancari da soggetti abituati ad emettere titoli in assenza di provvista.

A tale fine, i modelli di liberatoria utilizzati in virtù di detta norma prevedono formule dirette alla tutela della fede pubblica e non del mero interesse del privato portatore del titolo di ottenere il pagamento.

Dette formule prevedono espressamente il rischio di incorrere in responsabilità, anche di carattere penale, in caso di dichiarazioni mendaci e richiamano espressamente la sussistenza di tutti gli elementi e requisiti di cui all’art. 8 legge 386/90 che prevede espressamente l'obbligo di pagamento di penale, spese e interessi.